Era una di quelle giornate in cui tutto sembra cospirare contro di te, un’armonia di disastri orchestrati con una precisione degna di un regista di film comici. Io, in questa trama surreale, ero il personaggio principale, e non nel senso che avrei mai immaginato. Immaginatevi: il binario della metropolitana, un luogo di transizione, ma anche di riflessione e, talvolta, di miseria umana. E io, lì, immobile in mezzo al caos, mi trovavo a combattere contro l’invisibile e il grottesco.
Mentre il treno che stavo aspettando si avvicina, mi sento avvolgere da una sorta di euforia artificiale. È un momento in cui ogni pensiero, ogni preoccupazione, sembra dissolversi nel fumo dell'arrivo imminente. Con un balzo, mi avvicino alla porta della metropolitana, come se fossi un’eroina urbana in una battaglia per la quotidianità. Ma la realtà, come spesso accade, non è all’altezza delle mie aspettative.
Le porte si chiudono con un clic fatale. E io sono lì, con il naso appiccicato al vetro, mentre l’intera carrozza di persone mi osserva, forse con curiosità, forse con compassione. La scena è degna di un comico di strada: io, una figura caricaturale, confusa e impotente contro l’ineluttabile meccanismo della metropolitana. Un'eroina per pochi secondi, ridicolizzata dalla macchina che doveva portarmi via.
Ecco il momento di rottura. È un tipo di imbarazzo che ti stringe la gola e ti fa sentire minuscolo. Ma è proprio in quei momenti di impotenza che emerge qualcosa di profondamente umano. Non c’è nulla di più liberatorio che accettare la propria vulnerabilità e ridere di essa. Ridere di me stessa, del disastro che avevo appena creato, mi ha travolto come una marea. La mia risata è esplosa, una risata che ha riempito lo spazio intorno a me, costringendo chiunque a prenderne atto.
L’atto di ridere, di abbracciare l’assurdità della situazione, ha avuto un effetto quasi catartico. L'ironia ha trasformato l'imbarazzo in una sorta di trionfo personale. I volti intorno a me, inizialmente indifferenti, si sono ammorbiditi, hanno mostrato sorrisi compiacenti. Era come se avessi condiviso con loro un segreto intimo, una rivelazione di quanto potessero essere ridicoli tutti noi. Questo semplice atto di umorismo mi ha fatto sentire più leggera, più viva.
L’aspetto psicologico di questo episodio è profondamente rivelatore. Spesso, siamo così oppressi dalla paura del giudizio e dalle aspettative di successo che ci dimentichiamo di quanto possa essere potente la risata. In quel momento, ho compreso che il vero coraggio non sta nel nascondersi dietro una facciata di perfezione, ma nel ridere delle proprie imperfezioni. È un atto di ribellione contro le convenzioni sociali e un richiamo alla nostra essenza più autentica.
Sdraiata sul letto alla fine della giornata, con il sorriso ancora stampato sul volto e il cuore alleggerito, ho deciso di adottare questa prospettiva come la mia nuova filosofia di vita. Ogni difficoltà, ogni momento di disorientamento, può essere affrontato con un sorriso e un pizzico di sarcasmo. E se la vita è fatta di piccole pizze senza salame piccante, allora non posso fare altro che assaporarla con gioia.
Ecco la morale della mia piccola avventura: imparare a ridere di se stessi non è solo un rimedio contro l’amaro della vita, è una forma di resistenza, una dichiarazione di indipendenza contro le pressioni e le aspettative esterne. E, alla fine, quando la porta della metropolitana si è finalmente aperta e sono riuscita ad entrare sul treno, l’intera carrozza mi ha accolto con uno sguardo complice. Perché, sì, ridere di sé stessi è il miglior modo per affrontare le situazioni imbarazzanti e sopravvivere al disastro urbano.
In sottofondo, "Don't Stop Me Now" dei Queen accompagna questo stato d’animo, un inno alla celebrazione della vita, alla gioia di esistere e alla libertà di essere imperfetti.
Alice/Elis
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