Ricordo ancora il momento in cui tutto è cambiato. Avevo solo sette anni, eppure quel giorno segna una frattura incancellabile nella mia memoria. Non era una semplice giornata di pioggia o una qualsiasi domenica pomeriggio; era il giorno in cui il mio mondo si frantumava, in cui la mia esistenza si spezzava come un vetro sottile.
La separazione dei miei genitori è stata come un terremoto che ha scosso le fondamenta della mia vita. Il caos che ha seguito quell’evento non era fatto di rumori e di macerie fisiche, ma di grida strazianti, pianti soffocati e parole urlate che hanno lasciato cicatrici invisibili. Avevo sempre immaginato i miei genitori come un’unica entità, come se il loro amore fosse un legame indissolubile. La realtà era, invece, una violenza che non avevo mai previsto. Si erano distaccati, e io mi trovavo sola a fronteggiare una verità troppo grande per la mia fragile coscienza infantile.
Le scene che si dipanano davanti ai miei occhi sono indelebili. Le parole sussurrate dietro porte chiuse, i silenzi imbarazzanti che pesano come macigni durante le cene, le lacrime nascoste di mia madre. La vedevo cercare di nascondere il suo dolore dietro un sorriso forzato, ma i suoi occhi tradivano la disperazione, un senso di abbandono che la lacerava dentro. E mio padre, quella figura alta e mascolina che ora si dissolve nei miei ricordi, si allontanava sempre di più, portandosi via pezzi di quella famiglia che avevamo costruito.
La nostra casa, che un tempo era un rifugio di risate e calore, ora era un luogo desolato e vuoto. I giocattoli giacevano abbandonati sul pavimento, testimoni muti di una gioia perduta. Io, piccola e impotente, mi sentivo come un’isola deserta, abbandonata da tutto e da tutti. Non riuscivo a comprendere appieno la portata di ciò che stava accadendo, ma sapevo che nulla sarebbe stato più come prima. Così, mentre il mondo continuava a girare indifferente, io combattevo con sentimenti di confusione, rabbia e tristezza. Avevo solo sette anni, eppure mi sentivo già così adulta, così sola.
E ora, anni dopo, il ricordo di quel giorno mi tormenta come un’ombra persistente. Le lacrime versate, i gridi soffocati nella notte, sono cicatrici che non si rimarginano mai completamente. Il dolore è diventato parte di me, un compagno silenzioso e costante. Eppure, in questo mare di tristezza, mi aggrappo alla speranza. Spero che un giorno, forse, troverò la pace, che il mio cuore troverà un po' di sollievo.
Non ricordo la data esatta, ma quel giorno è il simbolo di una lezione dolorosa: l’amore può svanire, le promesse possono essere spezzate e la vita può essere crudele. Ma è anche il giorno in cui ho imparato che la mia forza è più grande di quanto avessi mai immaginato. E anche se il mio cuore è segnato da quell'evento, so che sopravvivrò. Anche se il mondo crollerà intorno a me, io sarò qui, a combattere la mia battaglia.
In questo dramma della mia esistenza, c’è una dedica che voglio fare alla mia famiglia. La dedico a loro con il brano “Tears in Heaven” di Eric Clapton, un’eco lontana di emozioni condivise e perdute, un ricordo di quello che eravamo e di quello che siamo diventati.
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Eclipse ~ Eclixar.
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