Milano, ti dico arrivederci.
Il giorno è finalmente arrivato. Oggi lascio questa città che mi ha cresciuta, mi ha amata, e mi ha fatta soffrire. Io e il mio ragazzo partiamo per Amsterdam. L’Olanda ci aspetta, carica di promesse, ma oggi sento solo il peso di ciò che stiamo lasciando. Il nostro appartamento è un caos ordinato. Due trolley giganti ci guardano dal centro del soggiorno, quasi come fossero anche loro pronte a partire, a salire a bordo di quell’aereo che ci porterà lontano. Le ruote dei trolley, già consunte dai troppi viaggi, sembrano sospirare con noi.
Scendo le scale con le chiavi in mano, ogni passo rimbomba in questo palazzo del centro che ha visto troppi momenti di noi. Gioie, risate, litigi infiniti e silenzi che parlavano più di mille parole. Il tappeto rosso, quello stesso tappeto che ci ha accolto ogni giorno, sembra quasi dire “Arrivederci”. Diamo le chiavi al portinaio. Lui sorride, ma lo vedo nei suoi occhi: sa che è un addio. Non un “a presto”. Usciamo dalla portineria, la porta scivola alle nostre spalle, e tutto ciò che resta è quel sottile suono del vetro che si chiude lentamente. L’aria fresca ci accoglie sulla via.
Le strade di Milano sono un’ombra di ciò che sono state. Oggi le vedo con occhi diversi. La via è deserta, quasi a riflettere il vuoto che provo dentro. Salgo sul taxi. Direzione: stazione centrale. Ogni angolo, ogni palazzo, mi sembra più vivido oggi. Li osservo come se volessi imprimerli nella memoria, in modo indelebile. Il taxi scivola tra le vie, e presto, troppo presto, siamo alla stazione. Quel gigante di marmo che troneggia su Milano sembra guardarmi dall’alto, quasi con disapprovazione. Ma io non ho più scelte. Il pullman per l’aeroporto ci aspetta già. Un ultimo respiro profondo, e saliamo.
Malpensa è sempre la stessa, caotica e indifferente. La gente si muove rapida, ognuno con la propria fretta, ognuno con la propria storia. Il check-in è una formalità. Consegnare i bagagli, mostrare i documenti, sorridere a chi ci guarda senza davvero vederci. Passiamo i controlli, la solita trafila. Le voci all’altoparlante annunciano voli per ogni parte del mondo, eppure mi sembra che non ci sia un posto che possa davvero sostituire quello che stiamo lasciando. Ci sediamo nella sala d’attesa. Le sedie in plastica fredda, le valigie ai nostri piedi, e un silenzio pesante. Non ci sono parole per descrivere quello che provo, solo un senso di vuoto e di aspettativa mescolato in una confusione inspiegabile.
La chiamata del volo arriva. Ci alziamo. Il portellone dell’aereo ci accoglie, l’odore di metallo e plastica ci avvolge. Mi siedo accanto al finestrino, fissando fuori mentre l’aereo comincia a muoversi. Le ruote staccano da terra. Un attimo, e Milano non è più sotto di noi, solo nuvole e cielo. Solo silenzio. Solo noi. Il volo è tranquillo, ma io non riesco a calmarmi. Un misto di eccitazione e tristezza mi stringe il cuore.
Arriviamo in Olanda nel tardo pomeriggio,alle sette. Amsterdam ci accoglie con una pioggia incessante e un freddo pungente. Il vento taglia la pelle. È il 24 ottobre del 2011, e sembra che il mondo intero si sia dimenticato che esistiamo. Scendiamo dall’aereo, e il cielo grigio ci cade addosso. L’Olanda, con tutta la sua promessa di libertà, sembra in questo momento solo un sogno bagnato dalla pioggia. Il freddo mi avvolge, quasi a volermi ricordare che questa è la nostra nuova realtà. Non ci sono più le luci di Milano, non c’è più quel tappeto rosso ad accoglierci. Solo asfalto bagnato e un silenzio carico di aspettative.
Mi stringo nel cappotto, tiro su il collo e guardo il mio ragazzo. Ci scambiamo uno sguardo. Non servono parole. Siamo qui. In questo nuovo capitolo. E forse, Milano resterà per sempre una parte di noi, ma oggi, cominciamo qualcosa di diverso. Di nuovo. E lo facciamo insieme. Ma il cuore, quello, è rimasto un po’ indietro, tra quelle strade familiari che ancora adesso mi chiamano.
Adesso ci troviamo in uno squallido hotel cinese. La stanza è fredda, impersonale, e il mio cuore si stringe al pensiero di dover passare qui la notte. Il nostro obiettivo è trovare un altro hotel al più presto, perché non posso sopportare di rimanere in questo posto una notte di più. La serata l'abbiamo trascorsa in un coffeshop della zona, un posto che abbiamo subito ribattezzato "il piccolino". È un buco, sì, ma caldo e accogliente. Un giovane olandese ci ha servito con un sorriso gentile, e per un momento, mi sono sentita a casa.
Amsterdam mi affascina, ma aspetto domani per esplorare e raccontare ogni dettaglio. Voglio lasciare che la città mi sveli i suoi segreti con il tempo, senza fretta, assaporando ogni nuova scoperta come un sorso di vita.
Buonanotte, Amsterdam.
Background musicale: "Lontano Lontano" di Luigi Tenco
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