Oggi, le strade del destino mi conducono di nuovo a I., il mio capo branco scout di tanti anni fa. È straordinario come le pieghe della memoria possano riaprirsi all'improvviso, rivelandoci dettagli che credevamo dimenticati. Avevo solo otto o nove anni, eppure i ricordi di quell'epoca sono così vividi che potrei quasi toccarli.
Nel parco, eravamo esploratori, conquistatori di terre inesplorate fatte di montagne di terra e rifugi improvvisati. Le nostre mani, piccole e indomite, erano abili nell’arte di costruire. Non avevamo bisogno di un'accendino per accendere il fuoco; no, il nostro fuoco era il frutto della perseveranza e del sudore. Ogni scintilla che riuscivamo a generare era una conquista, un piccolo trionfo contro la natura che ci sorrideva, indifferente e maestosa. Quel brevetto di fuochista che ostentavo con orgoglio non era altro che un simbolo, un piccolo pezzo di carta che rappresentava il nostro dominio su un mondo più grande e selvaggio di quanto potessimo immaginare.
E poi c’era il brevetto di cacciatrice. Oh, che illusione affascinante! Non cacciavamo altro che farfalle e insetti curiosi, ma il semplice fatto di possedere quel titolo ci faceva sentire eroi. Eravamo esperti nel seguire tracce e segnali, capaci di distinguere tra una pianta commestibile e una velenosa, eppure la nostra preda più pericolosa era il vento che ci scompigliava i capelli mentre correvamo.
Quel brevetto di fuochista e cacciatrice non è che un ricordo ingiallito oggi, ma allora, era tutto. Era il simbolo di un tempo in cui la nostra immaginazione era l'unico limite, e ogni piccola conquista era celebrata come una grande vittoria. Eravamo esploratori con la sete di avventura, spinti da un coraggio che si rifletteva nei nostri occhi brillanti e nel battito impetuoso dei nostri cuori.
Poi, come capita a molti, sono cresciuta. Ho abbandonato il branco dopo un anno. Non che non amassi l’avventura, ma perché il mondo degli adulti cominciava a chiamarmi, con le sue promesse e le sue complicazioni. E ora, rivedere I., è come ritrovare un pezzo di un passato che mi ha plasmato, un passato che mi stava aspettando, pronto a riportarmi indietro nel tempo.
Ricordo ancora con vividezza le serate trascorse sotto il cielo stellato, il naso all’insù, puntando il telescopio verso l’infinito. Quella ricerca delle costellazioni, Orione, la Grande e la Piccola Orsa, le Pleiadi, era per me un viaggio interstellare che mi faceva sentire parte di qualcosa di più grande. Ogni volta che individuavo una di esse, era come se avessi toccato il cielo con un dito. E i pianeti, oh, i pianeti! Saturno con i suoi anelli, Marte con le sue sfumature rosse, erano amici lontani che mi affascinavano e mi facevano sognare.
E poi, l’odore dell’erba bagnata sotto i nostri piedi scalzi, la sensazione della rugiada che ci bagnava mentre costruivamo i nostri rifugi segreti. Le risate, le corse senza preoccupazioni, la magia di un mondo che sembrava esistere solo per noi. Ma la realtà, quella implacabile realtà, è giunta a bussare alla porta con compiti e lezioni. È stato difficile lasciare tutto alle spalle, anche se in quel momento sembrava inevitabile.
Ora, guardando I. con occhi pieni di gratitudine, non posso fare a meno di sentire un’ondata di emozione. Quei momenti condivisi, le risate, le lezioni apprese, sono tesori preziosi custoditi nel mio cuore. Siamo cresciuti, le nostre strade si sono separate, ma quei ricordi rimangono con me, intatti e luminosi come un faro che guida le mie giornate più grigie.
Background musicale: "Fly Me to the Moon" di Frank Sinatra. La dolce melodia di Sinatra accompagna questa riflessione, proprio come una canzone che riporta alla mente i giorni d’infanzia, in cui il mondo era un posto magico e ogni piccola avventura aveva il sapore dell'eternità.
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