Il mondo si è fermato, trattenendo il fiato come un condannato che attende la sentenza. Siamo nel 2009, e ogni giorno è un passo in più verso l'ignoto. Le strade una volta animate ora sono deserte, i negozi chiudono uno dopo l'altro, e la gente cammina con lo sguardo perso, come se cercasse una risposta nelle crepe del marciapiede. Ricordo ancora il momento in cui tutto è iniziato. Era il 2008, l'anno in cui il crollo delle banche ha fatto tremare l'intero sistema finanziario globale. Pensavo fosse solo un temporale passeggero, una di quelle tempeste estive che scompaiono all'improvviso. Ma mi sbagliavo. Questo non è un temporale, è un uragano che ha spazzato via tutto ciò che conoscevamo. Il 2009 non è altro che l'anno in cui ci rendiamo conto che la tempesta non se ne andrà tanto presto.
In questi mesi, ho visto famiglie spezzarsi sotto il peso della disoccupazione. Uomini e donne che ieri erano pilastri delle loro comunità, oggi si trovano a mendicare un lavoro, qualsiasi lavoro. I volti una volta sorridenti ora sono ombre di ciò che erano. Vedo la dignità evaporare come rugiada al sole, sostituita dalla disperazione che si insinua in ogni angolo dell'anima. Mi trovo a riflettere su tutto questo mentre cammino per le strade di una città che non riconosco più. Le vetrine spente, i cartelli di “vendesi” che spuntano come funghi velenosi. Mi fermo davanti a una libreria chiusa, uno dei miei rifugi preferiti. Era lì che trovavo conforto nelle parole degli altri, nella speranza che c'è sempre un domani. Ma oggi, quel domani sembra lontano, irraggiungibile.
La mia mente torna a casa, alla mia infanzia. Erano tempi difficili, certo, ma c'era sempre qualcosa di solido a cui aggrapparsi. Oggi, però, mi sembra che il terreno sotto di noi si sia fatto liquido, e stiamo tutti affondando lentamente. Non c'è appiglio, non c'è salvezza. Solo la consapevolezza che siamo fragili, più fragili di quanto avremmo mai potuto immaginare. Vedo i giovani, come me, quelli che dovrebbero essere pieni di sogni e ambizioni, ora intrappolati in un presente che non gli offre nulla. Gli occhi brillanti di un tempo ora sono spenti, ingabbiati dalla paura e dall'incertezza. È come se una generazione intera stesse appassendo prima ancora di poter fiorire. È un dolore che mi taglia dentro, un grido silenzioso che non trova voce.
Mi chiedo se mai riusciremo a risollevarci. Se riusciremo a costruire qualcosa di nuovo dalle macerie del vecchio mondo. Ma dentro di me, una parte più profonda, più oscura, sussurra che forse questa è la fine di un'era. Forse stiamo assistendo al crepuscolo di una civiltà che ha troppo sperperato, che ha troppo creduto nella propria invincibilità. E ora, siamo qui, a pagare il prezzo della nostra arroganza. La crisi economica non è solo una questione di numeri, di mercati che crollano e di banche che falliscono. È una crisi dell'anima, un'erosione lenta e inesorabile della nostra umanità. Siamo stati accecati dal luccichio del denaro, e ora, nella sua assenza, ci troviamo nudi, esposti alla nostra fragilità.
Cammino ancora, cercando una risposta, una soluzione, qualcosa che mi dia un po' di speranza. Ma tutto ciò che trovo è silenzio. Un silenzio assordante, che mi avvolge come una coperta troppo pesante, impedendomi di respirare. Forse è qui che si nasconde la verità: nel silenzio, nella quiete dopo la tempesta. Forse, dopotutto, questo è solo un passaggio, una fase necessaria per riscoprire ciò che davvero conta. Eppure, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che qualcosa di fondamentale si sia rotto. Qualcosa che non potremo mai riparare. Guardando il cielo grigio sopra di me, mi chiedo se ci sarà mai un nuovo giorno, un nuovo inizio, o se resteremo per sempre intrappolati in questo limbo, in questa crisi che sembra non avere fine.
Background musicale: Inoki - Il mio Paese se ne frega
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