Eppure oggi è successa una cosa che non posso ignorare, che mi costringe a scrivere. Non so se è l'aria fredda di marzo o il peso di troppi pensieri, ma qualcosa dentro di me ha vibrato, come un’epifania. Stavo servendo al bancone, come sempre. Facce note e sconosciute, voci che si sovrappongono, risate che sembrano un lontano eco. Poi, d’un tratto, entra un uomo. Un volto anonimo, uno come tanti. Ma qualcosa di lui mi ha colpito. Forse lo sguardo, vuoto e intenso allo stesso tempo. Un uomo spezzato? Chi può dirlo. Ero lì, con il mio ipad in mano, pronta a servirlo. «Cosa prendi?» gli chiedo. Non risponde subito. Mi guarda fisso negli occhi. Sembrava volesse dire qualcosa di importante, come se le parole stessero lottando per uscire. Il tempo sembrava sospeso, e ho sentito un brivido lungo la schiena. Alla fine, con voce bassa, sussurra: «Una Guinness perfavore», in un accento inglese del sud. Una risposta normale, certo, ma c'era qualcosa in quella voce e in quell'accento.
Lo servo e lui si siede in un angolo. Inizia a bere lentamente, con una calma che sembra innaturale. Eppure, ogni tanto, mi accorgo che mi fissa. Non in modo inquietante, ma con una curiosità strana, quasi come se cercasse di capire qualcosa di me, di quello che mi circonda. Continuo a lavorare, ma non riesco a smettere di pensare a lui. A quella tensione nell'aria, a quell’inspiegabile connessione. E allora lo osservo anch'io, senza farmi notare. Mi sento inquieta. A un certo punto, si alza e si avvicina al bancone, portando con sé il bicchiere vuoto. Lo poggia piano, quasi con delicatezza, e mi guarda di nuovo. Stavolta però, c'è qualcosa di diverso nel suo sguardo. Un'ombra, forse, o un'emozione che non riesco a decifrare. «Ne vuoi un'altra?» gli chiedo, cercando di mantenere la voce stabile, come se quella tensione non mi stesse turbando. «No, grazie», risponde, sempre con quel tono basso, appena percettibile. Eppure, stavolta le parole sembrano più sicure, come se avesse preso una decisione. «C’è qualcosa che volevo dirti...», aggiunge, guardandomi dritto negli occhi. Il mio respiro si ferma per un istante. Non so perché, ma sento che quello che sta per dire potrebbe cambiare qualcosa.
«Non mi conosci, e io non conosco te», inizia. «Ma... Ci sono momenti nella vita in cui tutto sembra andare avanti senza di te, come se fossi un'ombra tra la folla. Tu non ti accorgi di me, eppure io... Io ti ho vista.» La sua voce diventa quasi un sussurro, e sento un nodo formarsi in gola. Lui mi ha vista? Cosa significa? Il pub è pieno di voci, ma per un attimo sembra che ci siamo solo noi due, come se il mondo si fosse ridotto a quel piccolo spazio tra il bancone e il suo sguardo. «Non so se fa qualche differenza», continua, «ma volevo solo dirti che a volte, anche senza volerlo, qualcuno ci vede davvero. E io ti ho vista, oggi.»
Rimango immobile, senza parole. Lui sorride, un sorriso appena accennato, quasi triste, mi lascia delle monete sul bancone «tieni il resto» e poi si allontana. Lo guardo uscire dalla porta del pub, sparire nella notte fredda di marzo, lasciandomi con mille domande e un peso inspiegabile sul petto.
Quell'uomo, apparentemente insignificante, ha lasciato una traccia nella mia mente, una crepa invisibile che fa filtrare domande e pensieri che non riesco a respingere. Cosa ha visto in me che io stessa non riesco a vedere? E perché, tra tante persone che servono birra e parlano senza sosta, ha scelto proprio me per lanciarmi quel messaggio enigmatico? È strano come la mente possa attaccarsi a dettagli minuscoli, a momenti che sembrano fugaci ma che, sotto la superficie, sembrano nascondere significati più profondi. Forse è il suo sguardo, quell'intensità che non riesco a spiegare. Oppure il modo in cui ha parlato di «vedermi». Sono abituata a essere circondata da gente, a scambiare parole vuote con clienti di passaggio, ma nessuno mi ha mai fatto sentire vista in quel modo, come se avessi improvvisamente peso e sostanza in un mondo che tende a farmi sentire trasparente.
E adesso, con questa consapevolezza scomoda, mi chiedo: quante volte cammino nella vita come un'ombra tra la folla, senza mai rendermi conto di chi mi osserva davvero? Quante volte mi perdo nei miei pensieri, nei miei ruoli quotidiani, senza fermarmi a considerare che forse, qualcuno potrebbe vedere oltre la superficie, oltre il mio volto impassibile dietro il bancone? Non so se lo rivedrò, quell'uomo. Forse è solo un altro passante nella mia vita, un'ombra che si dissolve con il vento freddo di Amsterdam. Ma una cosa è certa: ha lasciato un segno. E quel segno continua a bruciare, a far domande che non hanno risposta. Non mi piace questa sensazione di incertezza, di non sapere. Eppure, è anche questa la bellezza dell'incontro. Forse, a volte, tutto ciò che serve è qualcuno che ci veda veramente, anche solo per un momento, per ricordarci che esistiamo, che siamo più delle nostre abitudini e delle nostre maschere quotidiane.
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