Tuesday, December 15, 2020

Città vuota


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• Published on Tuesday, December 15, 2020 • No comments

La città sembra immobile, come se il tempo stesso avesse deciso di fermarsi. Le luci dei locali si spengono prima del solito, e l'aria è densa di un senso di vuoto che non si riesce a scrollare di dosso. Questo è dicembre 2020, e l’inasprimento delle misure ci spinge sempre più verso un isolamento fisico che si riflette dentro di noi. Cammino per le strade di Amsterdam, avvolta nel mio cappotto, come se quel tessuto potesse proteggermi dall'invisibile. Ma so che non è così. Niente può davvero schermarci dalla verità che ci circonda. I locali, i bar, i ristoranti chiudono. Non c'è più la vivacità che un tempo mi faceva sentire parte di una comunità.

Le voci si affievoliscono, e il silenzio diventa opprimente. Ogni sera, la città si spegne un po' di più, ed è come se ogni chiusura anticipata portasse via un pezzo di noi. Vedo le saracinesche abbassate, i cartelli "chiuso fino a nuovo avviso". Sono il riflesso di una speranza che, giorno dopo giorno, si affievolisce. «Come siamo arrivati a questo punto?» mi chiedo, e la risposta non è mai semplice. Non c'è una soluzione rapida, non ci sono scorciatoie. Oggi, più che mai, sento che la mia voce è solo una tra mille, una goccia nel mare di questo disastro globale. Ma non posso restare zitta. Nessuno dovrebbe.

Mi fermo di fronte a una vetrina, il riflesso mi restituisce l'immagine di una donna stanca, ma non ancora sconfitta. Ho sempre creduto nella forza della parola, nella sua capacità di cambiare le cose. Eppure, ora, mi chiedo se basti. Le misure si inaspriscono, ma il virus non si ferma. Ogni giorno sento parlare di nuove vittime, nomi che diventano numeri, numeri che si perdono nella vastità di questa tragedia. In Italia, il focolaio continua a bruciare, e qui, ad Amsterdam, ci prepariamo a un inverno che non sappiamo quanto sarà lungo. I ristoranti chiudono presto, le strade si svuotano. Non c'è più vita. O forse c'è, ma è silenziosa, nascosta, come se tutti aspettassimo qualcosa, qualcuno, che ci dica che andrà tutto bene. Ma chi ha davvero il coraggio di dirlo?

Sento il freddo, non solo nelle ossa, ma anche dentro. È un freddo che va oltre la temperatura, è l'assenza di quel calore umano che ora, più che mai, ci manca. Abbiamo costruito barriere, e ora ci troviamo imprigionati dietro di esse. Non posso fare a meno di pensare a quanto questa situazione sia surreale. Ogni giorno che passa, il confine tra realtà e incubo si assottiglia sempre di più.

Mentre torno a casa, il buio cala rapido, come se volesse inghiottire tutto. Non vedo più i volti delle persone, solo ombre. E mi chiedo: quando torneremo a vedere davvero l’un l’altro? Quando potremo di nuovo sentire la voce della città, delle persone, senza paura? La chiusura anticipata dei locali è solo l'inizio. Lo sento. Qualcos'altro ci attende, qualcosa di più grande, di più spaventoso. Eppure, in tutto questo, continuo a sperare. Non posso fare a meno di farlo. Forse è questa la nostra unica vera forza. Ma quanto durerà? Quanto tempo prima che anche questa speranza si spenga, come le luci dei locali che ora guardo da lontano?

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