È un bilancio difficile, quello di quest'anno. L'umanità è messa alla prova, e io, Alice, sento che questa prova non la stiamo superando. Non c'è pietà nei volti dei potenti, non c'è compassione negli occhi di chi decide. Viviamo in un'epoca di grandi menzogne, dove le parole vengono distorte, piegate e modellate per servire interessi oscuri. E la gente, la gente comune, resta incastrata in questa rete di manipolazione. Si divincola, cerca una via d'uscita, ma le maglie sono strette, soffocanti.
Mi guardo intorno e vedo una società che si disgrega. Le relazioni umane si sfaldano, mentre gli individui si rifugiano nel vuoto virtuale, cercando un senso di appartenenza che, in fondo, non esiste. C'è una disconnessione tra le parole che diciamo e quelle che sentiamo. Usiamo la lingua come un'arma, non come un ponte per connetterci. L'anno in corso è segnato da eventi globali di portata storica. Trump assume la presidenza degli Stati Uniti e, con lui, la politica si trasforma in uno spettacolo grottesco. Le tensioni con la Corea del Nord aumentano, i missili si alzano nel cielo come simboli di un potere instabile. C'è una follia latente, un senso di apocalisse che serpeggia tra le righe di ogni notizia.
In Europa, ci troviamo a confrontarci con le ferite ancora aperte dell'immigrazione, del terrorismo. A Londra, a Barcellona, a Parigi, i terroristi colpiscono senza pietà, portando la paura nelle strade, nelle menti, nei cuori. Non è solo un attacco ai corpi, è un attacco alla nostra identità collettiva, alla nostra capacità di credere in qualcosa di più grande, di più umano. Ma è anche l'anno della resistenza.
Il 2017 è stato un anno di grandi perdite. Il clima impazzisce: uragani devastanti colpiscono Porto Rico, Houston, le isole caraibiche. La Terra si ribella, e noi paghiamo il prezzo delle nostre negligenze. Non abbiamo ascoltato il suo grido d'aiuto e ora ci troviamo travolti dalla sua furia. La natura, in tutta la sua potenza, ci ricorda quanto siamo piccoli, insignificanti di fronte alle forze che non possiamo controllare.
C'è però una lezione da apprendere in questo caos. L'umanità, nei momenti di crisi, si scopre vulnerabile, fragile, ma anche straordinariamente resiliente. Ogni volta che cadiamo, ci rialziamo. E anche se l'anno sembra trascinarsi verso una fine cupa, in ogni disastro, vedo una scintilla di speranza. Persone che si uniscono, che si aiutano, che si salvano. Gli atti di gentilezza, per quanto rari, si distinguono con una forza che è impossibile ignorare.
Eppure rimane un'inquietudine, una sensazione di incompiutezza. Non so se l'umanità imparerà mai davvero dai suoi errori. Ogni anno sembra una replica dell'anno precedente, con nuove facce ma gli stessi vecchi problemi. Siamo destinati a ripetere gli stessi cicli? O c'è ancora spazio per un cambiamento autentico? Questa domanda mi tormenta, ma so che la risposta non arriverà in fretta. Io, nel mio piccolo, cerco di fare i conti con tutto questo. Cerco di capire dove stiamo andando, ma soprattutto, chi stiamo diventando. E mentre rifletto su quest'anno, mi chiedo se il futuro sarà mai diverso. O se saremo condannati a vivere nella ripetizione infinita di un passato che non riusciamo a scrollarci di dosso.
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