Nel cuore di Amsterdam, tra i canali che serpeggiano come vene di un corpo antico e mai del tutto addomesticato, trovo rifugio al Museo della Marina. È una giornata di febbraio del 2015, e il cielo è grigio, carico di nubi minacciose che sembrano pronte a liberare pioggia o, forse, solo i sogni di un passato lontano. Il museo è un’ode al mare, una celebrazione di navi e avventure, e io mi perdo tra le sue sale come un’animale marino tra le onde. Ad ogni passo, l’eco dei tempi passati si fa più forte. I quadri di battaglie navali, le cartine antiche, i modellini di navi maestose e fatiscenti, raccontano storie di glorie e disastri. È come se il museo non fosse solo un edificio, ma un mare immenso di storie e leggende che ondeggiano nel tempo. Mi sento parte di un grande racconto, una narrazione in cui io sono spettatrice e, al tempo stesso, protagonista di una metamorfosi continua.
Passeggiando tra gli spazi e i silenzi del museo, rifletto su quanto il mare possa essere simile alla nostra esistenza. Le onde che si infrangono, le tempeste che si scatenano sono metafore delle nostre vite, del nostro incessante oscillare tra sicurezza e caos. Ogni nave esposta è una promessa di esplorazione, un tentativo di domare l’imprevedibile, di navigare verso l’ignoto con la speranza di un nuovo orizzonte. Mi fermo davanti a una sezione dedicata alle esplorazioni e, improvvisamente, un’ondata di nostalgia mi investe. Quante volte abbiamo sognato di solcare mari lontani, di sfidare le tempeste, di trovare terre nuove? Ma le tempeste non sono solo fuori; sono anche dentro di noi. Le nostre emozioni, i nostri conflitti, le nostre sfide quotidiane sono le onde che ci travolgono.
Osservo un antico timone, ingiallito dal tempo e dall’uso, e mi chiedo: chi ha mai avuto tra le mani quel legno, chi ha guidato quella nave verso l’ignoto? Ogni dettaglio, ogni pezzo del museo mi parla di un passato che, sebbene distante, è intrinsecamente connesso con il nostro presente. È un riflesso della nostra inarrestabile ricerca di significato, di appartenenza e di comprensione. Alla fine della visita, mi sento cambiata. Non è solo il museo che mi ha lasciato un’impressione duratura, ma la consapevolezza che, come le navi, anche noi siamo in continua evoluzione. Le nostre esperienze, le nostre scelte, i nostri sogni sono le onde che ci modellano. La nostra vita è un viaggio interminabile, una navigazione tra le tempeste e i momenti di calma. Quando esco dal museo, il cielo sembra un po’ meno minaccioso, come se anche il tempo avesse trovato un momento di serenità. Cammino lungo i canali, e ogni riflesso sull’acqua mi sembra un’ulteriore promessa di nuove scoperte e trasformazioni.
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