Wednesday, November 26, 2014

La teoria del tutto


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• Published on Wednesday, November 26, 2014 • No comments

Nel caos delle stelle e dei sogni infranti, persino la mente più brillante si trova persa,
cercando una risposta che non arriva mai #


Guardo il mondo come fosse una finestra opaca. Non del tutto chiara, non del tutto oscura. C’è una strana ambiguità nelle cose, una specie di freddo distacco che mi prende il petto quando mi siedo a pensare alla vita. Così fragile, così caotica, ma anche così assurda nella sua persistenza. Eppure, c’è sempre un filo, un legame sottile che ci tiene in vita, che ci trascina avanti anche quando non sappiamo il perché.

Mi viene in mente Stephen Hawking. Un uomo brillante, condannato a vivere intrappolato nel suo stesso corpo, eppure capace di esplorare universi che noi non possiamo nemmeno immaginare. Quell’uomo non ha mai perso la sua battaglia contro il tempo. Anzi, lo ha sfidato. Oggi esce quel film, «La teoria del tutto». Sai cosa? Non è solo un film, non è solo la storia di un uomo che combatte contro la malattia. È la storia di tutti noi. Di chi si sveglia ogni mattina e si chiede se ha la forza di continuare. Di chi si sente fragile, ma si alza lo stesso.

Quante volte mi sono trovata a piangere senza un motivo? Forse non serve nemmeno un motivo. A volte, piangere è solo l’unico modo che abbiamo per capire che siamo ancora vivi. Non c’è niente di nobile nel dolore, niente di glorioso nel soffrire. Il dolore ci consuma, ci piega, ma poi, in qualche modo, ci forgia. E la vita va avanti.

Stephen, nel suo silenzio, è riuscito a creare un universo dentro di sé. Un universo fatto di formule, di domande, di risposte che ancora oggi ci sfuggono. Io lo guardo con una specie di ammirazione amara. Perché lui, Hawking, ci insegna una verità crudele: non importa quanto sei forte, alla fine devi accettare la tua fragilità. Sai cosa mi tormenta? Non il fatto che siamo deboli, ma che ci comportiamo come se non lo fossimo. Fingiamo di essere immortali, ci aggrappiamo alle cose come se fossero eterne. Eppure, in fondo, sappiamo che non lo sono. Niente è per sempre. Nemmeno le stelle, nemmeno gli universi che Hawking studia. Tutto ha una fine.

E allora che senso ha tutto questo? Che senso ha affannarsi, lottare, se tutto finirà? Forse il senso sta proprio nel viaggio. Nel fatto che, anche se sappiamo di essere condannati, decidiamo di continuare lo stesso. Ecco cosa ci rende umani: la nostra ostinazione a voler vivere, anche quando sappiamo di non poter vincere. Ho guardato alcuni video su YouTube, sai? Quei video che ti lasciano un peso sul cuore. Non so perché l’ho fatto, ma forse avevo bisogno di sentire quel peso. A volte abbiamo bisogno di sentire la tristezza, di toccarla con mano, per ricordarci che siamo ancora qui. Che siamo ancora capaci di sentire qualcosa.

E mentre guardavo quelle immagini, mi sono resa conto di una cosa: la sofferenza ci unisce più di qualsiasi altra cosa. Non c’è nulla di più umano del dolore condiviso. È come se il mondo, tutto il mondo, stesse cercando di trovare un senso, proprio come Stephen Hawking lo cerca nelle stelle. Oggi penso a lui, alla sua mente brillante, e penso anche a noi, persi nelle nostre piccole vite. Penso che, in fondo, siamo tutti alla ricerca di risposte. Risposte che, forse, non arriveranno mai. Ma continuiamo a cercare. E forse è proprio questa la nostra grandezza. Non smettere mai di cercare.

Stephen mi ha insegnato a non arrendermi. A continuare a lottare, anche quando tutto sembra perduto. Non perché troveremo la risposta, ma perché il vero miracolo sta nel cercarla.


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