Oggi, 20 maggio 2013, Moore, una piccola città nel cuore dell'Oklahoma, è stata inghiottita da un mostro. Un tornado EF5, un'entità così spietata da non lasciare nulla in piedi, ha trasformato la tranquillità di un giorno qualunque in un incubo. Le sue viscere hanno ruggito attraverso la pianura, sradicando vite, distruggendo case, spezzando sogni. Vedo l'immagine di una scuola distrutta, e in quella distruzione leggo la storia di un'umanità fragile, troppo spesso indifferente ai segnali della natura. Eppure, è nelle tragedie che l'uomo scopre quanto sia insignificante. Non ci sono eroi in queste ore, solo sopravvissuti, solo corpi che si stringono l'un l'altro cercando calore in un mondo che sembra averlo dimenticato.
C'era una volta una casa, un quartiere, una comunità. Oggi ci sono solo rovine. E quelle rovine non raccontano la storia di una forza sovrannaturale, ma la storia dell'arroganza umana, dell'illusione di poter controllare ciò che non si può controllare. Non c'è altro che accettazione quando la terra si ribella, quando il cielo si tinge di rabbia e grida vendetta. Il tornado ha fatto a pezzi le certezze, ha ridotto in polvere i sogni, eppure, c'è chi ancora crede in un domani. Una follia, forse, ma cos'altro resta se non la follia di continuare a sperare? Ho sentito le voci di chi non c'è più, nel sussurro del vento, nei detriti che volano via come carta straccia. E queste voci mi raccontano di un passato che non tornerà, di un futuro che si costruisce con ciò che rimane, con i mattoni della disperazione e del coraggio.
Il dolore non si misura in numeri, in statistiche. Il dolore si legge negli occhi di chi resta, in quelli che non riescono a staccarsi dalle rovine, perché quelle rovine erano la loro vita. Si cerca di ricostruire, di andare avanti, ma cosa si può costruire su una terra che ha mostrato la sua vera faccia? Forse è proprio in questo che si nasconde la forza dell'uomo: la capacità di alzarsi, di sfidare il destino, di credere ancora in qualcosa, anche quando tutto sembra perso. Ma non posso fare a meno di chiedermi, mentre osservo questi volti stanchi, se non sia giunto il momento di fermarsi, di riflettere. Abbiamo dimenticato di ascoltare la terra, di rispettarla. E lei, oggi, ci ha ricordato che siamo solo ospiti, ospiti che non hanno diritto di reclamare nulla.
La verità è che non sappiamo nulla. Nulla di ciò che ci aspetta, nulla di ciò che possiamo davvero fare. Siamo esseri piccoli, minuscoli, in un universo che ci supera, che ci umilia, che ci mostra il nostro posto. Eppure, ci rialziamo. Sempre. Oggi, mentre guardo i detriti sparsi, mi chiedo se un giorno impareremo a vivere con umiltà. A rispettare ciò che non possiamo controllare. O se, al contrario, continueremo a ignorare, a costruire sulle sabbie mobili della nostra arroganza. Forse un giorno lo capiremo. O forse no.
E così, tra le macerie, ci siamo ancora noi. Vivi, ma cambiati. Vivi, ma consapevoli di quanto fragile sia la nostra esistenza. E forse, questa consapevolezza sarà la nostra vera forza. O la nostra condanna.
Background musicale: "Mad World" di Gary Jules
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