Tuesday, May 13, 2003

Ribelli Senza Causa


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• Published on Tuesday, May 13, 2003 • No comments

La Stranezza della Vita: Un Riflessione Intima

A volte non trovate che la vita sia profondamente strana? Non credo nel destino, ma c’è qualcosa di inquietante e quasi magico nei momenti in cui la vita ci costringe a fare i conti con se stessa, nonostante le nostre scelte e decisioni.
È come se esistesse un invisibile burattinaio che tira i fili, facendoci incontrare persone nel momento meno previsto. E così mi ritrovo a pensare a un incontro che sembrava scritto da un romanziere di melodrammi adolescenziali, mentre cerco di rimettere insieme i pezzi della mia collezione di CD, distrutta dal tentativo del mio migliore amico di “prendere una pausa”.
È un pensiero strano, più imprevedibile di qualsiasi programma di MTV o delle relazioni amorose tumultuose dei miei amici. La vita ha un suo modo di giocare a nascondino con noi, mettendoci davanti a un destino che, sebbene io non creda, sembra sempre fare capolino.

E poi, come un fulmine a ciel sereno, ti sei manifestato nella mia mente. Tu, il mio ex dell’anno passato, sei apparso come un personaggio di “Dawson's Creek” che non riesco a comprendere del tutto. Ricordo ancora la tua tuta del canguro, che sembrava uscita direttamente da un catalogo australiano, e le tue scarpe Nike che brillavano di una freschezza che contraddiceva la tua stravaganza. E tu, con la tua stravaganza che era come un marchio di fabbrica, avevi il dono di trasformare ogni momento in qualcosa di memorabile.
E le parole, quelle stupide parole, sparate come proiettili da una pistola ad acqua in una giornata di sole. “Ma vai affanculo,” “Ci sarò sempre per te”… Grazie per le promesse vuote come la custodia di un CD senza il booklet delle canzoni. Ma noi due, alla fine, non eravamo il tipo di coppia da dolci parole d’amore. Ci piaceva essere diversi, unici, ribelli.
Quello che contava, lo sai, era il rispetto. Te lo ricordi? Se volevi stare con me, allora rispettavi me e chi mi stava intorno. Ma non eravamo fatti per le banalità, non era questo il nostro stile. Bell’adolescenza cazzuta quella che abbiamo avuto, vero? Quella che ci ha forgiati con le sue tempeste e i suoi silenzi.

E poi c’erano quei momenti in cui avrei dato qualsiasi cosa per svanire nel nulla, per non dover sopportare gli sguardi scrutatori e le chiacchiere maliziose dei compagni di classe.
Erano come spettatori in attesa di un dramma da scoprire, pronti a giudicare senza nemmeno sapere. Ogni giorno era un’esibizione forzata, un palcoscenico dove ogni passo, ogni gesto, era sotto esame. Era come se fossi messa sotto un riflettore accecante, costantemente osservata da occhi curiosi e labbra troppo pronte a parlare. Ogni mio movimento era scrutinato, analizzato e criticato senza pietà.
Mi chiedevo cosa pensassero veramente di me quei compagni di classe. Erano come investigatori improvvisati, con la pretesa di sapere tutto senza aver mai tentato di conoscermi. Erano pronti a trarre conclusioni affrettate, basate su voci, pregiudizi e rumor che spesso non avevano fondamento.
Ogni giorno mi sentivo come un pesce in una vasca d’acqua cristallina, osservato da lontano, mentre tutti quei sguardi sembravano cercare di scoprire ogni mio segreto. Non avevo mai un momento di pace, sempre circondata da un'atmosfera carica di giudizio e tensione.

Infondo, si sa, non sono mai stata bene con voi esseri umani.
La mia esistenza sembra essere una ricerca costante di significato in un mondo che non sempre riesce a comprendere. Mi chiedo spesso se sia l’unica a sentire questa distanza, questa barriera invisibile tra me e il resto dell’umanità. Ma forse, in fondo, è proprio questa sensazione di estraneità a darci il vero senso della nostra identità.
E così, mentre il grunge dei Nirvana risuona come colonna sonora della mia riflessione, mi chiedo se, in questa strana danza della vita, non sia proprio la nostra capacità di affrontare l’assurdo e l’imprevedibile a definirci veramente.

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Eclipse

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