La sveglia stamattina è stata come il grido di un uccellino che mi ha fatto sobbalzare nel mondo della realtà. Il mio corpo si risveglia di scatto, come se l’ennesima invasione del quotidiano non potesse essere più tollerata. La prima luce del giorno, quel tremulo alito di sole che si fa strada attraverso le fessure delle tende, mi bacia il viso con un calore improvviso. L’illusione di un risveglio placido si dissolve nel momento stesso in cui il pensiero di oggi mi attraversa la mente: "Oggi è il grande giorno."
Mi alzo dal letto, il corpo ancora pesante di sonno, ma la mente è un turbine di emozioni. C’è eccitazione, sì, ma anche un nervosismo penetrante che mi attanaglia lo stomaco. Ho sempre amato correre. La corsa per me non è solo movimento fisico, è l’affermazione di una libertà primordiale. Ma oggi non è una corsa qualsiasi. È una competizione, un test delle mie abilità, un momento per dimostrare a me stessa e al mondo intero di cosa sono capace. È una sfida che mi trascina a confrontarmi con la mia fragilità e la mia determinazione.
Mi preparo con la meticolosità di chi sa che ogni dettaglio conta. Le scarpe da corsa, le stesse che ho consumato nei mesi di allenamento, sono perfettamente allacciate. Ogni lacciolo è un legame con le ore di fatica e sudore. Mi guardo allo specchio, e vedo una ragazza pronta, ma anche vulnerabile. Il riflesso mi rimanda indietro l’immagine di una guerriera, ma con una sottile ombra di dubbio.
L’arrivo alla competizione è un rito che mi attraversa come un fiume in piena. Il cuore accelera con ogni passo, e la folla che mi circonda sembra un mare in tempesta di urla e tensioni. Mi posiziono sulla linea di partenza e sento l’adrenalina che scorre come un fiume impetuoso nelle vene. La concentrazione è un filo sottile tra la paura e la determinazione. Guardo le altre concorrenti, e in quegli sguardi ci leggo storie di lotta, di sacrificio, di speranza.
Il colpo di pistola segna l’inizio. I muscoli si mettono in moto con una forza bruta, e la corsa diventa un’estasi primitiva. Ogni passo è una dichiarazione, ogni respiro un grido di sfida. Ma il percorso si rivela più arduo di quanto avessi immaginato. La fatica mi assale, i muscoli bruciano, il respiro si fa pesante. L’illusione di una corsa trionfale si scontra con la realtà implacabile. La mia mente cerca di controllare il corpo, ma il dolore diventa una montagna insormontabile.
Supero il traguardo, ma non come avrei voluto. Non c’è una medaglia che luccica al collo, non c’è il trionfo che avevo sognato. Crollo, il fiato corto e il cuore che batte all’impazzata. È un fallimento, sì, ma è anche una rivelazione. Nonostante la sconfitta, c’è una sorta di epifania nella consapevolezza che ogni corsa, anche quella che non porta al trionfo, è un viaggio di scoperta.
Mi siedo, la testa inclinata, e guardo gli altri festeggiare. Sorrido, ma è un sorriso amaro, un sorriso che accetta la sconfitta come una compagna inaspettata. In quel momento, mentre la realtà dei fatti si fa strada con prepotenza, comprendo che ogni passo, ogni respiro, ogni lacrima versata, è una parte di me. La corsa è finita, ma il viaggio non lo è. Quella sensazione di fallimento non è un fine, ma un nuovo inizio. In fondo, non è la vittoria che definisce chi siamo, ma il coraggio di continuare a correre nonostante tutto.
Oggi, dunque, ho perso. Ma in questa sconfitta ho trovato una forza che non sapevo di avere. E in questa consapevolezza, nel riconoscere il limite e il dolore, c’è la promessa di una prossima volta. Di una prossima corsa. Di un nuovo giorno, che si sveglia con la luce del sole e un cuore che non smette mai di battere.
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