Il 2017 è l'anno in cui questo tema non può più essere ignorato. È ovunque: nelle pagine dei giornali, nelle conversazioni tra i colleghi, e, soprattutto, nei pensieri di chi teme di essere sostituito. Ma è davvero una questione di sostituzione? Siamo tanto sicuri che queste macchine, per quanto intelligenti, possano fare ciò che noi facciamo, con la stessa anima, con la stessa intenzione?
Ho i miei dubbi. Ho conosciuto persone spaventate dall’idea che un giorno non ci sarà più bisogno di loro. Operai, impiegati, persino professionisti con un curriculum di tutto rispetto. Tutti guardano al futuro con gli occhi di chi si sente in pericolo. Ma forse la paura non è solo la perdita del lavoro. È il timore di perdere identità, il timore che senza ciò che facciamo, non siamo nulla. E l’AI, questa creazione brillante e minacciosa, sembra metterci di fronte a quella domanda, senza mezzi termini: chi siamo noi, senza il lavoro?
Ma lasciatemi essere chiara. Non sto dicendo che dovremmo rifiutare il progresso. L'intelligenza artificiale ha le sue meraviglie. Pensa alle diagnosi mediche che possono essere fatte in pochi secondi, all'aiuto che può fornire nelle operazioni più pericolose, alle scoperte scientifiche che potrebbero rivoluzionare la nostra vita. Ma come ogni rivoluzione, dobbiamo fare i conti con le conseguenze. E quelle conseguenze, temo, non saranno solo economiche. C'è un paradosso qui, che non possiamo ignorare. Da un lato, l'AI promette un mondo dove non dovremo più preoccuparci dei lavori noiosi, delle ripetizioni monotone.
Dall’altro, ci chiede di rinunciare a una parte di noi stessi. Perché il lavoro, inutile negarlo, è anche una parte della nostra identità. È ciò che ci fa sentire utili, parte di qualcosa di più grande. È ciò che ci permette di sentire, nel bene e nel male. Il problema non è l’AI in sé. Il problema è come decidiamo di usarla. È una questione di scelte. E queste scelte le stiamo facendo ora. O forse non le stiamo facendo affatto, lasciando che tutto si muova da sé, senza fermarci a riflettere sulle implicazioni. Mi sono chiesta spesso come sarebbe un mondo in cui i lavori più creativi fossero affidati a una macchina. Un mondo in cui un romanzo fosse scritto da un algoritmo, o una sinfonia composta da un software.
Forse accadrà. Forse è già accaduto. E quando quel momento arriverà, ci troveremo ancora una volta di fronte alla domanda: cosa resta di noi?
Il 2017 segna una svolta, non c’è dubbio. Ma non è una svolta solo tecnologica. È una svolta umana. Una svolta di significato. Ci spinge a ridefinire chi siamo, cosa vogliamo, e soprattutto, cosa siamo disposti a lasciare indietro. Perché se il futuro sarà dominato dalle macchine, la vera sfida sarà non dimenticarci di essere umani.
Abbiamo davanti un bivio. Da una parte, l'abbraccio delle macchine, dall’altra, la conservazione di ciò che ci rende vivi. È una sfida che nessuno di noi può evitare.
Dobbiamo scegliere con cura.
• remember me •
• Eclipse •
Eclipse
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