Alle 3:32 del mattino una scossa di magnitudo 6.1 della scala Richter (e fino al IX-X grado della scala Mercalli MCS) colpì non solo il capoluogo abruzzese ma anche una vasta area della sua provincia, cogliendo gli abitanti nel sonno e causando 309 vittime, 1600 feriti e circa 70 mila sfollati.
La terra trema, rugge e grida, e con essa la città che si sbriciola in un fragore di macerie e di morte. Il terremoto, quel mostro invisibile, non ha pietà. È un assalto brutale che non lascia scampo, un avvertimento oscuro che ricorda la fragilità dell’uomo di fronte alla forza primordiale della natura. 309 vite spezzate, 1600 feriti e circa 70.000 sfollati: numeri che si stampano nella mente come un marchio infamante. Ma dietro a queste cifre c’è la storia di ogni singola esistenza, di ogni famiglia stravolta, di ogni sogno infranto. Ogni mattone caduto, ogni pezzo di storia ridotto in polvere, è il simbolo di un dolore collettivo che non si può misurare con la sola statistica.
Un confronto sincero e brutale con l'Invisibile #
Oggi mi rivolgo a te, con una franchezza e una brutalità che non concedo a nessun altro. Non è una preghiera, né un'invocazione, ma una sfida. Sì, una sfida, perché l’umanità ha sempre avuto l’abitudine di mettersi in discussione, di interrogare e di confrontarsi. E oggi sono io a porre l’interrogativo. Siediti e ascolta. Ti parlo con la sincerità di chi ha visto le miserie e le magnificenze di questo mondo, e ha capito che la fede non è altro che una scelta. E non è una scelta facile.
Ho passato giorni e notti a pensare alla tua esistenza. Questo è il mondo che tu, hai creato, e non posso fare a meno di chiedermi: perché? Vivo con la consapevolezza del dolore, e le domande che mi assalgono sono come tempeste in un mare in tempesta. E tu, che ti rifugi nella tua magnificenza, non ti senti obbligato a rispondere? Non ti senti in dovere di spiegare perché l'umanità è condannata a una spirale di disperazione e speranza? Non parlo qui come una teologa né come una predicatrice, ma come una semplice giovane donna che ha visto abbastanza per avere il diritto di chiedere. La mia esperienza è la mia fede, e il mio scetticismo è la mia riflessione. Ho vissuto in mezzo alla polvere e al fango, ho visto le cicatrici dell'umanità e ho incontrato i volti del dolore. Ogni giorno è una battaglia, e ogni battaglia sembra l’ennesimo errore di calcolo di un universo che forse non ha nemmeno il senso di un disegno divino.
Ho visto gli uomini in cerca di risposte nei luoghi più improbabili: nelle sale d’attesa degli ospedali, nei rifugi dei senzatetto, nei corridoi di una casa di riposo. Ho visto gli occhi cercare speranza e non trovare nulla se non il vuoto. E allora ti chiedo: dove sei quando la miseria chiama? Dove sei quando il dolore è troppo grande per essere ignorato?
Mi chiedo se la tua grandezza non sia semplicemente un riflesso dei nostri desideri più ardenti di trovare un senso in un universo insensato. Siamo forse stati ingannati dalla nostra stessa capacità di immaginare l’inimmaginabile? Siamo forse stati creati per cercare la redenzione in un disegno che non ha realmente bisogno di essere redento? Eppure, nonostante tutto, non posso fare a meno di sperare. La speranza è l’unico lusso che ci permettiamo, l’unico antidoto contro la disperazione. La speranza che forse, dietro la cortina del caos e del dolore, ci sia qualcosa di più grande. Ma è una speranza che può facilmente trasformarsi in disillusione. Voglio dirti che questo mondo, la mia vita e la vita di chi mi circonda, meritano una risposta più chiara di quella che possiamo offrirci da soli. Ti ho detto ciò che sento, con il cuore e con l’anima, senza filtri. Ora tocca a te, rispondere. Non per me, ma per tutti noi che viviamo nell’attesa di un segno, di una verità, di una luce. Il mondo è in attesa e io, con tutta la mia incredulità e la mia speranza, continuo ad aspettare.
Con tutto il mio ardore, Eclipse
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