Mentre i volti dei giornalisti si alternano sullo schermo, le immagini della Sinagoga di Gerusalemme sotto attacco mi colpiscono come una mazzata in pieno volto. Il telegiornale, che di solito scivola via con la sua routine di notizie e aggiornamenti, diventa un quadro di orrore e disperazione. E io, immersa in questo orrore, mi sento come se il mio mondo stesse crollando insieme a quello di chi sta vivendo il dramma dall’altra parte del globo.
Le voci dei giornalisti, che una volta erano il nostro filo diretto con la realtà, ora mi sembrano lontane e vuote, come se appartenessero a una narrazione distante e irrilevante rispetto al caos e alla violenza che sta devastando una sinagoga sacra. Non è un semplice attacco: è l’infamia, è la crudeltà spietata di un gesto che non ha giustificazione, che non trova spazio nel mondo che cerchiamo di costruire e di preservare.
Le immagini dei corpi delle vittime, delle persone innocenti uccise mentre pregavano, mi trafiggono dritto al cuore. È un colpo inferto al centro stesso della mia umanità, un pugno nello stomaco che mi toglie il respiro. Come è possibile che la sacralità del momento della preghiera venga violata in questo modo? Perché mai qualcuno dovrebbe dirigere la propria violenza e il proprio odio verso chi cerca solo conforto e rifugio nella spiritualità? Non c’è logica, non c’è ragione che possa spiegare questo orrore.
La confusione mi avvolge, e con essa, un senso di rabbia e tristezza profonda. Mi domando cosa stia passando per la mente di chi è rimasto coinvolto in questa atrocità. Qual è la disperazione che guida gli attaccanti? E che dolore devastante devono provare le famiglie delle vittime, mentre aspettano notizie dai loro cari, tremando per il peggio? Immagino i volti di queste persone, i loro sguardi fissi e pieni di terrore, mentre cercano disperatamente di mettersi in salvo, e il cuore mi si stringe.
Mentre guardo le scene di caos e distruzione, rifletto sulla fragilità della vita umana. Quella vita che ci sembra così stabile, così sicura nel nostro quotidiano, è in realtà precaria e vulnerabile. Ogni momento, ogni giorno, ogni respiro è un dono che non possiamo dare per scontato. L’attacco alla Sinagoga di Gerusalemme è un brutale promemoria di quanto sia effimera e fragile l’esistenza umana.
Mi rendo conto, allora, che ogni giorno dovrebbe essere un’opportunità per apprezzare ogni attimo con le persone che amiamo. Ogni abbraccio, ogni sorriso, ogni parola detta con il cuore deve essere un atto di gratitudine per il dono della vita. La violenza e la crudeltà ci costringono a fermarci e a riflettere, a riapprezzare le piccole cose che diamo per scontate, e a riconoscere la bellezza e la sacralità dei momenti condivisi.
In questi momenti di orrore, le parole sembrano deboli e inadeguate. Ma nel profondo di noi stessi, possiamo trovare la forza per onorare le vittime e per combattere contro la violenza e l’odio. Possiamo, e dobbiamo, decidere di vivere con maggiore consapevolezza e amore. Questo è il minimo che possiamo fare per rispondere all’orrore con la nostra umanità, e per garantire che la memoria di chi è stato colpito non sia dimenticata.
La Sinagoga di Gerusalemme è diventata il simbolo di una tragedia insopportabile, ma è anche un richiamo urgente alla nostra responsabilità di essere umani in un mondo che troppo spesso dimentica il significato di questa parola.
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